Kreator – “Pleasure To Kill” (1986)

Artist: Kreator
Title: Pleasure To Kill
Label: Noise Records
Year: 1986
Genre: Thrash/Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Choir Of The Damned”
2. “Ripping Corpse”
3. “Death Is Your Saviour”
4. “Pleasure To Kill”
5. “Riot Of Violence”
6. “The Pestilence”
7. “Carrion”
8. “Command Of The Blade”
9. “Under The Guillotine”

Del tris di esordi che nel 1985 scosse il territorio tedesco preannunciando la venuta delle entità poi fattesi epitomi della via più brutale al Thrash Metal aperta in Europa, secondo una logica di big 3 contrapposto ai famosi quattro colossi americani invero abbastanza forzosa, l’“Endless Pain” di quei Kreator oggi indicati nel bene e nel male come i più inclini alla vocazione sperimentalista era stato a meglio vedere il meno innovativo; non tanto, se vogliamo, per le lacune di un platter comunque in perfetta continuità con la ricerca della pura aggressione uditiva alla base del pressoché intero movimento in questione, quanto per l’assenza di un quid aggiuntivo quali erano stati la maggiore accortezza compositiva di “Infernal Overkill” o il malsano approccio di natura Punk di un “In The Sign Of Evil”.
Deve però esser stata proprio la rozza, elementare forza motrice del debut album a far fiutare qualcosa ad una Noise Records estremamente perspicace durante la clamorosa stagione mitteleuropea di metà decennio, quando l’etichetta ha sotto contratto il meglio del giovane tradizionalismo teutonico (Grave Digger, Running Wild e le future superstar Helloween) insieme ad act alquanti coraggiosi tra i quali svettavano chiaramente i visionari Celtic Frost; avere in scuderia un esponente di questa curiosa e frastornante ondata di efferatezze in musica non è del resto e di certo una cattiva idea, e la scommessa sui Kreator si traduce nell’ingaggio dello stesso Harris Johns già al lavoro su buona parte delle uscite curate dalla label, nonché futuro demiurgo del Thrash made-in-Germany sui dischi di Sodom, Exumer, Deathrow e Vendetta.

Il logo della band

Mentre dunque la presenza in studio del produttore d’origine nativo-americana è un primo segnale implicito al gruppo di Essen, chiamato a dimostrarsi all’altezza dei mezzi dispiegati in vista della seconda prova, l’altro sprone all’indirizzo del trio di a malapena ventenni arriva da lontano senza che questi nemmeno se ne accorgano, e rimane inspiegabile se non tramite la foscoliana corrispondenza di sensi la quale può mettere in contatto menti affini dalla cupa Berlino fino alla soleggiata California: rilasciato un mesetto prima e con il nuovo materiale dei Kreator già approntato, Reign In Blood” è il netto strappo tra prima e dopo effettuato con una freddezza impossibile da ignorare, anche per dei musicisti allora difficilmente già a conoscenza di quei pezzi ma che ciononostante paiono contagiati in un humus che è comunque collettivo dalla tangibile cattiveria incisa nel vinile come nella carne viva dagli Slayer; un’energia nera generata prima dal marcio sotto i lustrini dello star system a stelle e strisce, come adesso viene invocata dalle insicurezze di una Germania che ormai subodora la fine di un’epoca buia e, tuttavia, non crede ancora al cieco idealismo magnificato dagli Scorpions di “Wind Of Change”.
Lungi perciò dallo sforare nelle filippiche testuali dei Megadeth, il centrale “Pleasure To Kill”, allo stesso modo di Reign In Blood” prima di lui, canalizza invece tale carica squisitamente politica in una furia esecutiva che ne scioglie ogni legame con “Endless Pain”, con i suoi malcelati accenni Heavy/Speed nel riffing e la sua produzione alquanto esile e totalmente guitar-oriented: al secondo turno i Kreator, proprio come al terzo i coevi di Los Angeles, ridefiniscono tutte le possibilità date dal concetto di violenza in musica e allo stesso tempo addestrano le legioni di thrasher europei -e non- alle delizie di un suono tanto ruvido, tagliente, mefitico, eppure componente così fondamentale nell’eccelso risultato.

La band

La preziosa lezione della scuola teutonica è stata infatti quello che le figure professionali del settore definiscono oggi ear-training, la progressiva predisposizione dell’orecchio di ascoltatori non ancora abituati a prodotti talmente poco digeribili da un punto di vista tecnico come sonoro. Seppure anticipati in questo dai vari Hellhammer, Bathory e dai nostrani Bulldozer, i quali però sbucano fuori da contesti del tutto estranei alla loro proposta e vengono per questo limitati a fenomeni passeggeri specialmente dalla stampa dedicata, le band tedesche debuttanti in perfetto unisono interpretano il verbo del metallo battente ognuna secondo uno stile personale ma con la sensazione di sporco e casereccio come trait d’union imprescindibile, convincendo così il pubblico dedito ai sofisticati nomi anglosassoni di come un’alternativa artigianale ad essi fosse non solo possibile ma necessaria nello sviluppo verso nuove frontiere espressive. Da ultimi arrivati nell’ordalia dell’annata precedente, “Pleasure To Kill” trasforma i Kreator nell’avanguardia nazionale per quanto riguarda l’aggressività fine a sé stessa generata dal marasma degli strumenti, cui il contributo di un sound engineer di prima scelta dona finalmente potenza, taglio assurdo e completezza; e mentre la chitarra e i rantoli di Mille Petrozza (ora prima voce su sei degli otto brani effettivi) continuano a furoreggiare nel mixing, a beneficiare del passo in avanti dietro la consolle è la sezione ritmica impostata sulle frequenze basse, con un drum kit dalla rinnovata profondità e le quattro corde di Rob Fioretti che seguono le sei del leader senza mai farsi inglobare da queste, generando spazio nel suono e profondità tredimensionale nel caos. Ne consegue che stavolta il bagno di sangue arriva tutto e arriva subito, sbattutoci in faccia appena dopo un’illusoria introduzione da una tripletta soverchiante, dove lo scatenato Ventor pare un Dave Lombardo che ha rinunciato di sua stessa volontà al rigore di tempi spietato sentito solo il mese prima per darsi invece alla pazza gioia percussionistica: “Ripping Corpse”, “Death Is Your Saviour” e l’iconica title-track fanno semplice cenere degli ensemble connazionali superati di prepotenza, come di larghissima parte della scena oltre l’Atlantico dove il disco farà proseliti in ogni generazione successiva, fondata a questo punto sull’ultraviolenza di Demolition Hammer e Morbid Saint. Alla rinnovata spietatezza non mancano di accompagnarsi alcuni miglioramenti nel songwriting esemplificati nella stupenda “Riot Of Violence”, anteprima delle liriche sempre più introspettive e degli arrangiamenti d’ampio respiro affermatisi nel successivo, abbastanza sottostimato “Terrible Certainty”, mentre dietro al microfono Petrozza aggiunge ai suoi ruggiti una feroce morbosità equiparabile in malignità, sul momento, soltanto alle ossessive declamazioni di Tom Araya, e che sul finale di “Under The Guillotine” sigilla i quaranta minuti di ostilità avventurandosi in territori non molto distanti dal moderno growling.

Se Reign In Blood” simboleggia l’apertura dei cancelli dell’estremo come lo conosciamo, allora “Pleasure To Kill” nel 1986 è stato una delle primissime mostruosità a venirne fuori seminando caos e morte come del resto la figura demoniaca troneggiante in copertina (pressoché identica a quella apparsa sul mini dei Celtic Frost “Emperor’s Return” uscito l’anno prima, il cui artwork era stato infatti la prima scelta dei tedeschi), aggiungendovi però il putrescente tocco di sensibilità europea rustica e lo-fi. L’importanza dei Kreator nella loro fase giovanile, conclusasi proprio qui per evidente impossibilità di replicare cotanta distruzione, non è perciò limitabile alle dinamiche e ai tratti essenziali di quel Death Metal che, nel medesimo anno, poteva vantare giusto Slayer e Possessed come altri precursori effettivi, ma consiste parimenti nello scardinamento dei canoni formali imposti dall’egemonia produttiva nordamericana; un atto simbolico ed altrettanto pratico che dopo oltre tre decadi può benissimo essere riletto quale anticipazione della definitiva ripresa dello scettro nero da parte del Vecchio Continente, sull’onda di una rivoluzione di suono, di chitarre che abradono glaciali, d’immagine e poetica qui ampiamente anticipata ma scoppiata in Scandinavia e solo in seguito propagatasi dovunque: il voluttuoso coro dei dannati in cui si ode spaventoso il suono di ossa che vengono segate e spezzate, un episodio rimasto per molti versi a sé stante nella lustrata discografia di un gruppo prossimo al grande balzo in termini di maturità. Eppure, e proprio in ciò, “Pleasure To Kill” è ancora oggi un archetipo per ogni tipologia di musica dura, nessuna esclusa, a cui tutti devono qualcosa ma di cui in troppo pochi hanno replicato l’incredibile, demonico fascino perverso tuttora fuori dal mondo.

Michele “Ordog” Finelli

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